“Maestra, cosa è il Gender?”
Martedì, ore 8.30.
La mia giornata
lavorativa inizia così, con la domanda di Giorgio.
Avevo programmato tutto per questa mattinata: verifica sulle
frazioni e ripasso dei poligoni.
Guardo negli occhi Giorgio.
Guardo negli occhi Giorgio.
Un bambino particolare, lui. Uno
di quei ragazzini che se non l’ami all’istante, ti complica la vita per il suo
“essere” così, semplicemente “essenziale”.
Ed io lo amavo, immensamente. Dal primo giorno di scuola. Un
bambino incredibilmente speciale.
Sempre pieno di domande, non sempre di facile risposta.
“Ma perché non lo chiede ai suoi genitori?” pensavo ogni
tanto di fronte ad un suo nuovo interrogativo.
“Cosa è il gender?” mi ripete, noncurante del calcolo delle
frazioni così lontane dal suo sentire.
Giorgio mi guarda, lì in piedi, impalato. Storce un po’ la
bocca, a modo suo, interrogativo, in attesa.
In classe cala il silenzio.
Alzo gli occhi e anche gli altri ragazzi, abbandonata istantaneamente
la tensione della verifica, stanno aspettando una risposta da me.
“Siediti Giorgio,” - gli rispondo –“vi racconto una storia”.
“C’era una volta, in
una città poco lontana da qui, una bambina di nome Giulia. Un maschiaccio,
dicevano tutti quanti”
-“Giocava a calcio?”
“No, non giocava a
calcio, no. Non le piaceva il gioco del calcio. Preferiva giocare a basket”
-“Diceva le parolacce?”
Sorrido amaramente, consapevole di quanto gli stereotipi di
genere siano già stati tramandati ed inculcati in quelle giovani menti.
“Sì, anche Giulia
diceva le parolacce, come tutti noi.. Giulia era una bambina come le altre. In
realtà si vestiva solo un po’ strana rispetto alle quasi totalità delle bambine
della sua età. Niente di straordinario. Semplicemente non amava le gonne, né le
camicette con le maniche a palloncino. Jeans, maglietta e un paio di scarpe da
tennis sempre slacciate. Aveva uno zaino enorme alle spalle, un comune zaino
arancione, senza fatine né brillantini, solamente pieno di pesanti quaderni e
di morbidi peluches. Ciò che rendeva Giulia
singolare, però, era la sua passione
smisurata per i cani e, soprattutto, per
la sua compagna di banco, Simona. Quanto era bella Simona! Glielo diceva tutte
le mattine appena l’amica varcava la soglia dell’aula. Giulia lo raccontava
anche ai suoi genitori, alla nonna, ai suoi compagni ed alle maestre: “Simona è
bellissima! La più bella del mondo! Ha i capelli scuri come la pantera Bagheera , due occhi giganti come quelli di Masha ma color nocciola, Simona …”
Giulia adorava
letteralmente Simona e con lei parlava di tutto e la aiutava ogni volta che la
vedeva in difficoltà. Anche a scuola, soprattutto quando doveva coniugare quei
maledettissimi verbi che Simona non riusciva a memorizzare. Durante le
verifiche le passava di nascosto i bigliettini sotto il banco, “…modo
indicativo, tempo imperfetto, coniugazione propria…”
Al suono della
campanella dell’intervallo Giulia e Simona, prima di giocare con i peluches, si sedevano allo stesso banco e condividevano
le reciproche merende: torta di mele preparata dalla mamma di Giulia e trancio
di pizza margherita acquistato nella panetteria del paese dalla mamma di Simona,
poco prima di entrare a scuola, in modo che fosse ancora tiepida a metà mattina.
I bambini le
prendevano in giro. “Maestra! Giocano a fare la mamma e il papà”
“Giulio e Simona!
Giulio e Simona!” urlavano i compagni
La maestra guardava le
due bimbe con aria rassegnata e distoglieva l’attenzione dei propri alunni dalle
due ragazzine che, noncuranti del resto
della classe, continuavano nel loro quotidiano rituale di condivisione di cibo,
giochi e …bene infinito.
“Non guardatele e
andate a giocare in giardino!”
Tutti i giorni la
stessa storia.
All’uscita da scuola
le due bambine si mettevano in fila con gli altri, mano nella mano.
I compagni non
perdevano occasione per deriderle:“Giulio e Simona!!”
E loro due, ogni
volta, si stringevano reciprocamente la mano con più determinazione, per darsi forza
vicendevolmente.
“Andiamo ragazzi! Lasciatele
perdere!” ripeteva ogni giorno con aria insofferente l’insegnante di turno, scocciata
per l’atteggiamento delle due ragazzine
Al cancello scolastico
i genitori, in attesa dei figli.
Qualche metro in disparte la mamma di Giulia
che, allo sguardo di rimprovero dell’insegnante nei suoi confronti, rispondeva
immancabilmente con un sorriso per poi cercare il volto più rassicurante della
figlia tra la fiumana di visi
Un abbraccio stretto ed un bacio sulla guancia
a Simona e una corsa tra le braccia della mamma.
“Hai ancora le scarpe slacciate, pasticciona!
Prima o poi inciamperai e ti farai male”
le sussurava la donna nell’abbraccio.
“Mamma, posso invitare
ancora Simona a casa? Ci siamo già messe d’accordo.”
“Certo, quando vuoi.
Ma dobbiamo chiederlo prima alla sua mamma!”
“Simona gliel’ha già
chiesto ieri e ha detto di sì”
“Va bene, le telefono
e, se è veramente d’accordo, le chiedo pure se si può fermare a cena. Così
prepariamo insieme la torta di mele per la merenda di domani”
“Grazie mamma!”
…
Ho finito ragazzi.
“Come hai finito? Che cavolo di storia è questa?” risponde Giorgio.
“Mi hai chiesto cosa sia il gender ed io ti ho risposto”.
In classe solo silenzio. Più di quello che dovrebbe esserci
mentre spiego le frazioni.
Si alza Mattia. “Il gender è Giulia?”
Federica: “Il gender sono due donne innamorate!”
Mauro, ridacchiando: “Il gender sono le lesbiche e i gay?”
Alice: “Non si dicono quelle parolacce a scuola!”
Roberta: “Mio papà e mia mamma dicono che il gender è
pericoloso. Fa diventare tutti i bambini omosessuali!”
Giorgio non smette di fissarmi. Non so se si aspetta una
risposta da me.
Luca: “Ma come è finita? Hanno cambiato classe a Giulio?”
Giulio? Forse non dovevo raccontare questa storia. No, non
posso aver sbagliato così.
Guardo Giorgio. Ha le guance rosse e mi fissa con gli occhi
sgranati e colmi di lacrime.
Si alza in piedi.
“Il gender non esiste. È solo la paura. È l’odio. È
prendere in giro Giulia e Simona perché sono due femmine e si vogliono
bene”.
“Ma sono due femmine! Le femmine non possono amarsi!”
risponde Michele.
Giorgio, per la prima volta, è fuori di sé e lo percepisco dagli occhi sbarrati e dalle
mandibole serrate.
“Siete dei deficienti!” urla, noncurante della terminologia
utilizzata.
Poi mi fissa. “Sei tu
il gender, vero?”
“Sì Giorgio, per qualcuno sono io” rispondo
“Se tu sei quel Gender, io non ho paura di te e neppure di
Simona”
Si alza, corre nel suo goffo modo verso di me e mi abbraccia.
E nella sua stretta che sussulta di emozione, mi sussurra nell’orecchio: “Puoi
chiedere alla tua mamma se posso venire anche io a casa tua a preparare la
torta di mele?”
Gli do un bacio in fronte. Apro il mio zaino e gli mostro un
pacchetto di alluminio.
“Questa la mangiamo insieme all’intervallo, se ti va. Tu
cosa mi offri?”
“I biscotti! Non so
se sono buoni come la pizza di Simona, però!”
Niente verifica per oggi.
I miei ragazzi ed io abbiamo bisogno di parlare di Vita
vera. Altro che frazioni!
E domani, torta di mele per tutti.
Mi aiuta Giorgio a prepararla.
Dolce impasto d’Amore.
Giulia
(liberamente tratto dalla mia vita)
(liberamente tratto dalla mia vita)
L'articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2016 da Araberara, periodico di Informazione val Seriana, val di Scalve, alto e basso Sebino, lago d'Endine, val Cavallina, val Calepio, Bergamo